Interviste ad Alberto Conterio

lunedì 26 maggio 2014

Europee: vince Renzi



Europee: vince Renzi
Grazie alla lista civetta di Grillo, l’Europa della Troika può contare su un’Italia supina

Giorgio Napolitano ha di che complimentarsi, è riuscito nell’impossibile!
Ad inizio anno, con Letta, nei panni della controfigura di Monti al governo e un Grillo arrembante e urlatore le possibilità di mantenere la barra dritta sul programma dell’integrazione europea sembrava seriamente compromessa. Altro intervento quirinalizio quindi, dopo quello del 2011 e del 2013. Matteo Renzi, da semplice Sindaco, diventa in due battute, segretario del Partito Democratico prima e Presidente del consiglio poi,  «senza passare dal via» si direbbe giocando a Monopoli.


Smesso Letta come un calzino bucato e maleodorante, Renzi assume il compito di distrarre l’opinione pubblica: l’obiettivo è evitare che si trasformi la delusione e il malcontento degli ultimi anni in un voto contro l’Europa; i problemi degli italiani e dell’Italia sono pertanto secondari, e subordinati al bene dell’Europa delle banche e della Germania. 25 secoli di storia e di cultura non sono sufficienti al popolo italiano per comprendere il raggiro!
Per Renzi il lavoro è facile, …si corre in discesa. Dalla Merkel a prendere ordini, c’era già stato ancora prima di diventare Presidente del Consiglio, sicch’è…
Distrarre l’opinione pubblica dal grigiore dell’austerity europea calamitando l’attenzione con giochi di prestigio – gli 80 euro al mese – e promesse, tante promesse è un gioco da ragazzi!
Grillo nel frattempo non lo sa, ma ha già perso la partita. Anche lui del resto – non so quanto inconsapevolmente –  risponde allo stesso scopo, togliere al popolo il tempo di pensare e ragionare sugli effetti nefasti di 10 anni di moneta unica.
Prima lista civetta dell’euro-burocrazia, il Movimento 5 Stelle intontisce la gente con urla, insulti e improperi vari, allontanando da se i moderati in fuga dai partiti tradizionali! Una campagna elettorale la sua, all’insegna della confusione indecisionista, che riduce le adesioni alla sola ala estrema degli ultrà da stadio. Così è stato, e l’Italia, pur dopo cinque anni «economicamente» terribili, torna ad accodarsi all’Europa come un bravo scolaretto. La contraddizione è palese, oltre il 45 per cento degli italiani risulta oggi chiaramente deluso e sfavorevole all’Euro, ma oltre il 40 per cento dei votanti (che sono poco più della metà degli aventi diritto al voto) ha espresso la sua preferenza per l’unico partito politico che dell’euro e dell’Unione Europea ha fatto la sua ragione di vita, senza se e senza ma.
Certo pesa moltissimo l’astensione al voto, che ha storicamente interessato sempre maggiormente l’elettorato di destra e centro destra. Da questo fatto occorre a mio parere riparametrare il risultato elettorale europeo nella sua globalità: L’elettorato «sicuro» del Movimento 5 Stelle è corso in toto a votare in massa, così gran parte dello zoccolo duro del PD. Forza Italia ha quindi certamente risentito delle maggiori assenze al voto. Sulla base di questa considerazione, appare chiaro che, il vero sconfitto risulta essere il Movimento di Grillo!
Legittimato da questo risultato – drogato dalle dall’astensione – Matteo Renzi dovrà assumersi la responsabilità di fare da sinistra tutte quelle riforme che normalmente vengono attribuite ai propositi delle forze politiche di destra. Sarà uno spettacolo, e se non ci fosse da piangere potremmo divertirci parecchio! Sarà invece uno spettacolo indecente, soprattutto essendo consapevoli che queste riforme non sono il rimedio per ridare competitività all’Italia, ma al contrario sono il risultato che si desiderava raggiungere per distruggere il sistema industriale italiano, a costo di creare o aggravare apposta a livello nazionale la crisi generale!
Lo smontaggio dell’Italia Nazione può procedere quindi a favore del protettorato tedesco, utile alla spoliazione delle ricchezze nostre pubbliche e private.
Ad opporsi la sola piccola «fiaccola», rappresentata dalla Lega Nord di Matteo Salvini dopo che Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni non ha superato la soglia minima di sbarramento. Basterò a fare squadra con le più combattive forze europee anti-euro?
Me lo auguro di cuore. Gli euro-contrari di Gran Bretagna, Francia, Danimarca, Olanda, Grecia e Austria formano sulla carta un fronte robusto ma eterogeneo. Se si troverà un minimo comune denominatore, su questa «armata» potrebbero infrangersi le ultime speranze dei banchieri di mantenere il criminale status quo. Comunque sia, ogni cambiamento dell’attuale politica europea non può che portare benefici, tanto è stata negativa fino ad ora, ma gli interessi tedeschi al contrario verrebbero sminuiti. Si lasceranno andare in atti di bontà e altruismo? Non lo penso. Resta quindi una bella partita da giocare!
L’Italia vince sicuramente solo abbandonando il campo, e dal momento che per ora questa ragionata scelta politica interna è da escludersi, non resta che sperare che il «campo» sia messo in crisi da altri paesi europei. L’Italia a quel punto potrebbe accodarsi all’uscita di sicurezza, …verso la libertà.

Alberto Conterio - 26.05.2014

sabato 17 maggio 2014

Eurolandia: dopo l’austerità la precarietà



Eurolandia:  dopo l’austerità la precarietà

L’annuncio di qualche settimana fa del Presidente del Consiglio Matteo Renzi di voler effettuare sgravi fiscali ai lavoratori dipendenti e una riduzione del 10% dell'Irap alle imprese per un valore complessivo di 10 miliardi di euro ha ben poco di sensazionale ed innovativo. Si muove infatti sulla linea tracciata da messer Monti. La copertura della manovra verrà in parte attuata aumentando la pressione fiscale agli stessi cittadini, che in parte, solo in parte, sono interessati agli aumenti promessi in busta paga. Il gioco delle tre carte insomma, in cui, i soldi che entrano nella tasca di destra sono usciti poco prima dalla tasca di sinistra o viceversa, ma occorre fare attenzione ad un argomento ben più importante: la parte mancante della copertura!


Renzi spiega che arriverà dalla possibilità di aumentare il rapporto debito/Pil fino al limite del 3% sancito dai trattati europei.
In realtà, se la crescita effettiva del Pil, prevista, sarà ancora una volta inferiore a quanto previsto – come successo gli anni passati e confermato nei dati molto negativi del primo trimestre di quest’anno – questo limite potrebbe essere già superato mentre scriviamo, e quindi potrebbe aprirsi un contenzioso in seno all’Unione europea!
Tuttavia, per ora Angela Merkel non sembra volere insistere su questa anomalia dei nostri conti pubblici. L'attenzione, piuttosto, sembra rivolta all'impegno del governo italiano a realizzare nuove riforme del mercato del lavoro. L’approvazione in questi giorni di una serie di provvedimenti raccolti in un Decreto dal titolo “disposizioni urgenti per favorire il rilancio dell'occupazione …” , sembrano confermare questa ipotesi, che del resto era stato previsto dal "monito degli economisti" pubblicato lo scorso 23 settembre sul Financial Time. Questo documento prevedeva infatti che per fronteggiare la crisi dell'eurozona si sarebbe presto passati da politiche di austerity (malviste dai cittadini di mezza Europa) a scommette su politiche di ulteriore flessibilità dei contratti di lavoro.

La riforma che in questi giorni è stata approvata senza che vi siano state particolari discussioni in Parlamento, grazie all’uso indiscriminato e colpevole dei voti di fiducia, si sta movendo, guarda caso, in questa direzione con grande scorno del sindacato!
Purtroppo nemmeno questa ricetta trova riscontri adeguati: la ricerca economica ha infatti evidenziato che la flessibilità dei contratti da un lato agevola la creazione di posti di lavoro ma dall'altro favorisce la loro distruzione, determinando così un effetto finale del tutto incerto o pari a zero sul livello di occupazione. L’occupazione, a parità di capacità produttiva è direttamente proporzionale alla quantità di lavoro disponibile. Se il lavoro non c’è, non viene creato con un grado maggiore di flessibilità dei contratti. Questa flessibilità però serve a creare ulteriore insicurezza tra i lavoratori, favorendo quindi il clima ideale per la riduzione di salari e stipendi.
La momentanea maggior competitività delle aziende ottenuta in questo modo (sempre che ciò avvenga nella misura necessaria) verrà in breve vanificato da una ulteriore contrazione dei consumi interni, dato dal minor reddito delle famiglie italiane, in una spirale volta alla distruzione della nazione.

Occorre poi riflettere, che la tanto invocata flessibilità del mercato del lavoro è nemica della produttività e della qualità della produzione. Personale demotivato da salari da fame, dall’insicurezza sulla continuità del rapporto di lavoro e dalla palese discriminazione nei confronti di lavoratori tutelati da alte forme di contrattazione, non avrà mai lo stimolo necessario a perseguire una produttività elevata, e meno che mai avrà lo stimolo a fare del suo lavoro un lavoro di qualità.
Perché perseguire questa strada quindi?
Perché la grande industria, o le grandi multinazionali, grazie alla estrema parcellizzazione del ciclo produttivo, non hanno bisogno di lavoratori con una esperienza provata, motivati e fedeli, ma al contrario, hanno bisogno di bassa manovalanza da pagare il meno possibile. Ancora una volta insomma, si sta mettendo in campo un provvedimento nemico della piccola e media impresa che caratterizza il tessuto industriale italiano! Lo scopo resta la deindustrializzazione dell’Italia e la distruzione della sua società?
Saccenti euro sognatori, in buona o malafede, rispondono che queste riforme in Germania hanno dato risultati sorprendenti! E non potrebbe essere differente dal momento che la Germania, ha visto nascere l’euro come un vestito cucito su misura, potendo contare su un immediato vantaggio di cambio (come se il suo marco avesse svalutato del 15-20%) e partendo da salari e stipendi superiori alla media europea, ha giocatola carta della deflazione salariale (senza averne bisogno e senza che la gran massa dei lavoratori tedeschi ne potesse risentire oltremodo) per acquisire un ulteriore vantaggio a tutto favore delle sue esportazioni.
Le riforme del mercato del lavoro tedesco hanno infatti determinato una crescita salariale molto inferiore alla crescita media dei paesi dell'eurozona, aumentando a parità di costi il numero degli occupati, a scapito degli altri paesi europei. Anche per questo, pensare di riequilibrare la bilancia occupazionale inseguendo il modello tedesco come fatto da Matteo Renzi è un'illusione, in quando il gap, è ormai insanabile con questo tipo di intervento, a meno di non tagliare le retribuzioni tout court del 40/50%, come inizialmente richiesto della dirigenza Elettrolux!
Dovremmo arrivare a tanto? Quale sarà il costo economico? Quale quello sociale?

Sembra chiaro a questo punto che il governo italiano naviga a vista, oppure risponde a logiche e linee guida dettate altrove. Gli interventi proposti, sono tutti di natura normativa, insufficienti o inutili ad incidere sulle grandi strategie che hanno peso sulle dinamiche del sistema economico.
Interventi che non incidono sulla creazione del lavoro, ma regolano quello presente e in costante calo in altro modo:
Tempi diversi per i contratti a tempo determinato e diverse modalità di rinnovo, riduzione dei vincoli in tema di apprendistato e diversa disciplina delle retribuzioni, diversa regolamentazione del Durc (dichiarazione unica di regolarità contributiva) e poi ammortizzatori sociali, pubblica amministrazione e non meglio identificati incentivi alle imprese .
Tutto questo, senza che la Legge Fornero sia abiurata in toto, e di cui non è chiaro cosa rimarrà.
Gli esodati restano senza risposta, e la cassa integrazione, ormai anacronistica, non tutela più l’occupabilità, bruciando risorse pubbliche preziose senza nulla dare in cambio.

L’aspetto più allarmante quindi risiede non tanto nel contesto ambientale europeo, che potrei definire ormai una tonnara, dalla quale si esce soltanto strappando la rete, ma nel metodo con cui ancora oggi, il governo italiano, completamente asservito agli interessi eurocratici tenta di affrontare il pericolo: ossia, la convinzione che i problemi di occupazione, di lavoro e di reddito dei cittadini si possano risolvere per via normativa, aggiungendo o modificando qualche regola, senza pensare di incidere sulle cause della crisi economica stessa: La moneta unica.
L’euro, moneta forte, non adatta ad una economia come la nostra, sta producendo disoccupazione perché ha completamente annullato la competitività della nostra industria, impedendo la vendita dei nostri prodotti all’estero e sul mercato interno.
Non si tratta più di capire la fregatura, si tratta di agire di conseguenza. Se ciò non viene fatto non è per ignoranza; si tratta di alto tradimento nei confronti dell’Italia e del popolo italiano!
Il 25 maggio, l’unico voto utile è un voto contro la moneta unica!

Alberto Conterio - 17.05.2014